Il passato coloniale africano incide ancora molto sull’identità dei Paesi nel continente, ammaccati superstiti della lotta per l’indipendenza. La paura e la distanza che separano la popolazione dal corpo di polizia in paesi come l’Uganda, il Mali o il Congo, ma solo per citarne alcuni, sono da una parte una grande debolezza nel percorso di stabilità dei Paesi in questione e dall’altra, un punto di forza per la Cina, che da anni si inserisce all’interno delle dinamiche dei Paesi africani non solo in termini economici ma anche in termini culturali, anche attraverso l’educazione e professionalizzazione di realtà quali, appunto, le forze di polizia. La Cina non è nuova ai rapporti con l’Africa, storicamente naviganti ed esploratori cinesi viaggiarono in lungo e in largo nel continente, producendo testimonianze e tessendo rapporti diplomatici e commerciali. La Cina, nella storia coloniale dell’Africa, è sempre rimasta un passo indietro, schermadosi nel suo “pacifismo” esclusivo e senza mai allontanarsi troppo. Oggi, attraverso un sempre più consolidato rapporto istituzionalizzato con i governi di certe Repubbliche africane, la Cina insinua e radica aspetti ambigui della propria visione securitaria, politicizzando fortemente l’esperienza africana con l’insegnamento di dogmi quali il weiwen, il modello di stabilità perseguito da anni in patria e che oltre ad abbracciare a 360 gradi la politica di crescita nazionale, implica un controllo di polizia totale e assoluto da parte del partito. Il modello di polizia africano è, almeno sulla carta e negli intenti e anche in un certo movimento di consapevolezza recente fra le alte sfere dell’autorità continentale, ben diverso da quello cinese: l’obiettivo, dato proprio dal difetto di stampo coloniale della forza di polizia al servizio cieco di una autorità politica, è quello di ottenere forze di sicurezza oggettive, indipendenti a livello parlamentare, soprattutto apolitiche. Viene firmato e adottato nel 2019 dal Parlamento Pan-Africano (PAP) il Model Police Law for Africa, che in più parti indica chiaramente quali sono i limiti del potere dell’autorità politica sulle forze di polizia. (Si legge integralmente qui)

Oltre alla polizia africana comunque, la Cina ha fornito una istruzione superiore e formato professionalmente anche decine di miglia di avvocati e magistrati africani, che hanno accesso all’università di Xiangtian, dove esiste un percorso di Studi Giuridici per l’Africa e dove vengono poste le basi per l’armonizzazione delle leggi cinesi e africane su più campi. L’influenza cinese quindi si allarga efficacemente e attivamente non solo sul comparto sicurezza e difesa dei paesi africani, ma anche su quello giuridico. In cima alla piramide, a muovere i fili delle possibilità implicate dal controllo su queste aree di potere, c’è solo ed esclusivamente il Partito Comunista Cinese di Xi Jinping, che crede fermamente e applica quotidianamente l’operato autoritario e assoluto della legge sul cittadino. A discapito di qualsiasi diritto civile e umano per l’individuo, che resta completamente inerme in termini fisici, sociali e legislativi davanti a un potere assoluto e largamente abusivo.

Come invece la Cina riesca a deviare gli obiettivi che l’Africa ha cercato di darsi nel 2019 e a improntare ideologicamente il percorso della sicurezza nazionale nel continente, lo si deve ad accordi messi in moto già nel 2003, quando in almeno otto Paesi africani iniziano ad arrivare milioni di dollari destinati esplicitamente alle questioni di sicurezza e difesa; nel 2017 apre a Djibuti la prima base militare internazionale cinese, traguardo strategico di primaria importanza e nel 2018 gli accordi speciali con Paesi africani aumentano di 13 nazioni: in questi accordi rientrano non solo intese economiche ma anche di prevenzione nella lotta al terrorismo o nell’illegalità, aspetti che implicano un coinvolgimento attivo anche dei servizi segreti cinesi. La Repubblica Popolare ha offerto ai sempre più numerosi partner africani, un accesso primario alle accademie di training delle forze di élite della propria polizia e ha dato il via alla formazione su suolo africano con istruttori e operatori che hanno il compito di addestrare le forze di polizia locali utilizzando i metodi cinesi. Questi, includono non solo il training fisico e tattico, ma anche un imprinting ideologico che ha varie finalità: la diffusione di una certa propaganda nazionale, la tutela di investimenti strategici che in Africa toccano cifre miliardarie, il potenziamento strutturale della presenza cinese nel panorama geopolitico, l’acquisizione non solo di nuovi territori ma anche di nuovi eserciti e nuovi supporter culturali. Attraverso la Cina infatti, sono diversi i paesi africani che ottengono prestiti per potenziare il comparto militare, con acquisti il cui utilizzo può essere discretamente favorevole alla Cina (ad esempio, come segnalato dalle ricerche del SAIS CARI nel progetto China-Africa Research Initiative, la Cina ha offerto a certi paesi africani, come lo Zambia, elevati prestitit per l’acquisto di MA60, il cui scopo d’acquisto non è ben definito: gli MA60 sono generalmente usati per voli commerciali o per il trasporto civile, ma vengono usati anche dalla Cina per la sorveglianza marittima o il trasporto militare).
Siamo di fronte ad azioni di soft power mirate. La Cina ha costruito e seminato per l’Africa non solo le sue accademie di polizia, ma anche commissariati (non dimentichiamo che illegalmente l’ha fatto anche in Italia): ha elargito fondi e prestiti per l’acquisto di materiale quali forniture per gli operatori, sistemi di videosorveglianza pubblica, dotazioni antisommossa. Anche l’accesso alle scuole di polizia e alta formazione per gli operatori africani su suolo cinese è regolato dagli accordi stretti direttamente con le nazioni africane, dall’Algeria allo Zimbabwe. Vi si acquisisce non solo una formazione completa, ma anche una rete di contatti e conoscenze che viene importata in Africa e che rappresenta un pericolo per la formazione di reti non statuali di alto livello al servizio delle autorità governative, che godono di posti privilegiati nella formazione (per parenti stretti, amici ed entourage).

Ideologicamente, la presa della Cina sugli “studenti” africani è forte: i tipi di insegnamento forniti a queste figure chiave dell’ordine pubblico, della sicurezza e della legge, sono stati affinati in Cina nel corso di molti anni. Il Partito ad esempio ha sviluppato una propria definizione di terrorismo su cui basa una serie di attività preventive e di controllo che si impongono nel weiwen per tutelare la stabilità nazionale e che l’Occidente ha scoperto di recente: si lavora contro il terrorismo, contro il separatismo, contro l’estremismo religioso, che in Cina sono definite come manifestazioni di una grande minaccia nazionale. Questo concetto di terrorismo e quindi anche le strategie di controterrorismo, prevenzione, gestione della minaccia, vengono importate in Africa. I processi di deradicalizzazione che hanno fatto scandalo in Occidente quando la persecuzione degli Uiguri è venuta alla luce rientrano nelle attività contro il terrorismo. Si parla, fra le altre cose, di campi di rieducazione dove migliaia di uomini e donne uiguri, che incarnano la minaccia dei tre mali (minoranza islamica che persegue l’indipendenza anche attraverso presunte organizzazioni terroristiche) vengono rinchiusi per anni spogliati di ogni diritto. E si parla di annientamento culturale e dell’identità amministrativa, controllo assoluto e totale delle comunicazioni, sorveglianza obbligatoria, isolamento territoriale di circa nove milioni di persone nello Xinjang. (Un esempio del punto di vista cinese)

La Cina ha una cultura millenaria per quanto riguarda il warfare e lo sviluppo di concetti quale il soft-power e la guerra ibrida. Ha dimostrato di avere una visione molto approfondita e lucida di quello che è il suo operato verso l’esterno e di come questo implichi una chiara posizione difensiva indirizzata all’interno che sembra assorbire sempre di più le nuove alleanze africane: perché giudicare l’influenza cinese in Africa come una mossa esclusivamente votata al predominio esterno, può essere limitante. La Cina assorbe, rielabora e si fortifica predisponendo le proprie difese.
Le accademie di polizia cinesi sono intrasigenti nella formazione classica del pensiero strategico e nello studio dei personaggi che nel corso dell’evoluzione del pensiero nazionale, hanno dettato gli obiettivi per raggiungere la stabilità e la grandezza. Lo scorso anno il capo della propaganda del Partito, Liu Yunshan, ha ribadito che la Cina deve diventare una potenza culturale al di fuori dei propri confini, sostenendo l’eredità del pensiero del soft-power non solo come strumento di estensione ma anche come strumento difensivo contro “l’egemonia culturale dell’Occidente”.
In questa ottica si inserisce bene la giocata della Cina in Africa, che fra dominazione culturale ad ogni livello (si vedano le nuove pratiche di lavoro nelle aziende cinesi in Africa o il settore dell’istruzione) sta giocando in difesa applicando in maniera sistematica il soft power in questa costruzione di legami alternativi per l’Africa e nella creazione di una visione affine, di supporto, all’ideologia cinese applicata alla governance e alla società civile.

Ieri, un africano che pensa come un cinese sarebbe stato il personaggio di una storiella divertente: oggi è una realtà. L’intera Africa che assorbe i dogmi, i paradigmi e la visione cinese sui diritti dell’uomo, sull’Occidente e sulla minaccia costante che questo e altre realtà presumibilmente rappresentano per la Cina, è una probabilità.

Per conoscere il pensiero strategico cinese, si vedano i libri utilizzati nelle accademie militari:
Sun Tzu – L’Arte della guerra, The Methods of the Sima, The Three Strategies of Huang Shigong, On Questions and Replies between Emperor Taizong of Tang and Li Weigong, gli scritti di Wei Laozi e il Wuzi

Altre pubblicazioni:
China and the World in a New Era, Pubblicazione del Partito, 2019
Les modèles policiers chinois font leur entrée en Afrique, in francese
South African Police Receive Chinese Training
The Dilemma of Stability Preservation in China