Nei primi anni del Duemila in Russia si lavora tenacemente alla riformulazione di una identità militare che possa superare l’ideale sovietico appena destrutturato, un ideale che sopravvive con la complicità di un radicato culto della sicurezza, così radicato da aver permesso per un certo tempo all’Unione Sovietica e poi molto più solidamente alla Russia di fare della Difesa uno dei pilastri più importanti della società e del potere. A questo mito del “saper fare la guerra” si allineavano una serie di “tradizioni militari” portate avanti per decenni, una eredità accademica strenuamente difesa durante le turbolenze dei conflitti etnici interni e delle sabbie mobili nell’Europa dell’Est, che è finita col diventare “l’educazione sovietica alla guerra”: questo potrebbe considerarsi uno degli elementi più dannosi del sistema militare attuale. Le vecchie strategie, le vecchie visioni, la vecchia scuola, sono ancora oggi molto difficili da superare, perché è proprio lì che in realtà nasce il mito della potenza dell’Orso. Di fronte all’evidenza però, il mito si indebolisce e dall’interno a gran voce vengono richieste delle riforme che permettano di far entrare l’esercito russo nel nuovo secolo, dove i “nemici di sempre” sono utili sì per plasmare le politiche interne, ma sono certamente più avanzati sia a livello teorico che pratico.

La prima riforma della dottrina militare post-sovietica risale al 1993, ma non è nient’altro che una intenzione, visto il drammatico contesto sociale in cui il nuovo Paese versa. La corruzione e l’appropriazione indebita sono talmente diffuse ad ogni livello, che i fondi dedicati al rinnovamento del comparto difesa finiscono inesorabilmente per sparire nelle tasche di tanti. L’unico passo avanti viene fatto nella creazione e consolidamento di gruppi di elite dell’esercito, con cui si cerca in qualche modo di rispondere all’esigenza di rapidità di intervento che altrimenti è scarsissima: con una quantità di separatismi interni e aggressioni etniche che scoppiano frequentemente da una parte all’altra della Federazione, il problema della logistica e della catena di intervento e comunicazione fra le autorità militari si fa sentire sempre di più.

Cancellata in maniera abbastanza spudorata l’umiliazione della Prima Guerra Cecena, che ha rivelato molti drammi nel dramma (come il crimine fortemente presente nell’esercito e la dedovshchina) nel 2008 la Russia vince la guerra lampo contro la Georgia, ma l’entusiasmo per una apparente, rinnovata potenza militare sul terreno in realtà è molto debole, in quanto emergono feroci critiche interne che denunciano lo stato di totale abbandono e povertà del comparto militare, sia in termini di materiale (fondi, equipaggiamenti, mezzi) sia in termini di formazione. Il soldato russo in Georgia, non è affatto diverso dal soldato che nella Prima Guerra Cecena ha subito una sconfitta pagata a caro prezzo: continua a mancare tutto e la capacità di resistenza dei gergiani, che ha messo a dura prova l’esercito russo, è un punto negativo per Mosca. Da qesto momento, la visione personale di Vladimir Putin sulla potenza militare russa si lega alla storia della nazione. Durante la Seconda Guerra Cecena, la strategia per la vittoria è stata molto semplice e altamente efficace, nonostante il prezzo devastante: la Russia ha polverizzato, letteralmente, la Cecenia, in una guerra di annientamento e dispersione che ha visto una prima e unica ondata massiccia di uomini e mezzi riversarsi nella regione. Non si parla di intelligence, di strategia complessa, di tattiche messe in atto dall’esercito dopo attenti studi, non si parla propriamente di “superiorità bellica di uomini, mezzi ed equipaggiamenti”. Si parla sì, di vincere una guerra con un numero superiore di soldati e mezzi, oltre il triplo della prima volta, ma a questi mezzi mancano comunque gran parte delle munizioni e i soldati non hanno nemmeno anfibi di ricambio. Ancora si fa la guerra in un modo o nell’altro e l’esercito russo continua a sopravvivere, in un modo o nell’altro.

Sempre nei primi anni del Duemila, uno dei think tank russi fra i più prestigiosi, il Centro per le analisi di strategie e tecnologie (CAST, pubblica e distribuisce anche in Italia), diffonde approfonditi testi di analisti militari che mirano a individuare i motivi del deperimento nella qualità dell’esercito, che non può essere nascosto all’opinione pubblica ma, a partire da questa fase secondo le volontà di Putin, deve essere smentito. Fra i motivi di debolezza che vengono individuati, il più importante a emergere è quello delle strutture di formazione, cioè le accademie militari di ogni grado che comprendono anche le scuole di aggiornamento a cui si fa riferimento anche da civili dopo aver completato il servizio militare obbligatorio. Il livello di queste strutture di formazione non è mai stato particolarmente eccelso in termini di formazione prettamente militare, ma il valore delle accedemie nel contesto socio-politico è altissimo. Sono un retaggio della Russia zarista, formate ai tempi di Pietro il Grande e poi potenziate nel periodo storico sotto Caterina II, fino ad assumere l’attuale identità di prestigio ed esclusività (più politica).

Gli investimenti e i progetti che coinvolgevano le accademie militari negli anni Duemila furono da subito sostanziosi, anche perché nel 2001 la famosa riforma Ivanov cambiò radicalmente i termini di coscrizione, riducendoli, e puntò verso il sogno di un esercito professionale: era necessario quindi formare a livelli più alti, investire sui futuri professionisti della guerra, ottenere un esercito qualificato e non basato prevalentementella leva obbligatoria. I risultati però furono e sono sconfortanti, soprattutto se si paragona il livello di formazione acquisito dagli ufficiali ai risultati costantemente disattesi del progetto di potenziamento in corso. Ancora, anche qui, mancava praticamente tutto, dai più basilari materiali di formazione alla competenza stessa dei formatori. L’auto-diagnosi non può essere che impietosa: ci si porta dietro delle fragilità e dei limiti che bisogna eliminare, ma in un paese come la Russia, fare i conti con una evoluzione militare significa necessariamente fare i conti con una evoluzione sociale: a dispetto del mito che viene coltivato con cura tra le file dell’establishment politico e militare, la società civile russa ha subìto fortemente la realtà delle guerre e dell’arruolamento e non è facile invertire la profonda diffidenza che i maschi russi sentono verso tutto ciò che è servizio militare. Nel 2008 le riforme di Makarov e Serdyukov (il primo rimpiazzato da Gerasimov, il secondo predecessore di Shoigu caduto in disgrazia) devono fare i conti con il fallimento delle intenzioni di Ivanov: il numero di contratti militari è ridicolo, gli stipendi anche, così come il numero dei militari di leva. Ne risulta quindi un esercito ben lontano da quello potenziato che Putin aveva in mente. Con le riforme M/S, che col senno di poi verranno definite catastrofiche, vengono perfino vendute armi ed equipaggiamenti militari obsoleti per riuscire a finanziare una parte dei progetti della riforma; per limare i fondi e dare un messaggio ai corrotti, vengono licenziati centinaia di generali e migliaia di ufficiali, il numero si riduce a uno ogni tre soldati. Nel 2001 Putin aveva annunciato che la Difesa avrebbe beneficiato di un investimento al 2020 di 650 miliardi di dollari per riuscire a costruire l’esercito più forte e avanzato del mondo. Molti di questi soldi, sono andati persi a causa della corruzione.

Dal 2010 ci si concentra sempre di più sul progetto di rinnovare il comparto della formazione militare per avviare un cambiamento radicale sul lungo termine; nel 2015 si mettono sul tavolo dei piani da attuare a partire dal 2020 e che dovrebbero comprendere una rivoluzione formativa teorica e pratica abbastanza consistente: ultra-specializzazioni, accesso a strumentazioni ed equipaggiamento hi-tech, studio e analisi delle strategie con approccio interdisciplinare, selezione di formatori di altissimo livello, ibridazione di formazione militare e civile per ampliare il bacino di professionisti intercambiabili nelle situazioni di emergenza e molto altro, compresa l’intenzione di favorire in futuro la collaborazione interdipartimentale nell’esercito, uno dei punti veramente dolenti dell’attuale struttura. Il progetto di rinnovamento delle scuole militari del 2020 aprirebbe la strada a nuovi metodi di studio, nuove visioni strategiche, a un rinnovo della tradizione militare che necessariamente dovrebbe entrare nel secolo corrente. Al 2027 questo rinnovamento dovrà coinvolgere a pieno ritmo tutte le strutture accademiche militari di Russia.

Attualmente, su questa base vengono formati e sfornati gli ufficiali e i militari specializzati che stanno costituendo l’esercito nella guerra contro l’Ucraina. A questi, si aggiungono gli ex coscritti che dal 2001, dopo la riforma Ivanov, contestata a livello militare ma grande successo politico, hanno un solo anno di leva obbligatoria contro i tre o due del vecchio sistema. Per quanto riguarda i riservisti, chi riceve il richiamo risponde a determinati requisiti: uno degli obblighi dei riservisti è quello di partecipare saltuariamente a corsi di aggiornamento durante la loro vita da civili, un obbligo imposto da un decreto nel 2013. Fra gli escamotage più semplici per evitare queste trasferte di formazione, della durata variabile da poche settimane a vari mesi, uno è quello di comprare certificati falsi di malattia o di farsi assegnare da una conoscenza privilegiata del voyenkomati di riferimento a un corso di aggiornamento vicino casa che probabilmente non riguarda il proprio ambito di competenza registrato sulla tessera militare. Ma anche seguire un corso di aggiornamento con l’intento reale di aggiornarsi non implica che si otterrà una formazione adeguata alle proprie aspettative. Tutto questo significa che attualmente, la figura del soldato più diffusa al fronte sarà quella di un cittadino russo che ha fatto un anno di leva, con un primo addestramento base di tre mesi (cioè, ti insegno cos’è una pistola) e dislocato poi presso un’unità X per un compito specifico, ad esempio meccanico: un compito che non rispecchia necessariamente eventuali studi tecnici o professione civile e che anche qui parte da un addestramento di base di tre mesi, più altri tre/cinque mesi per un addestramento più approfondito. Il difetto di un servizio limitato a una parentesi così breve a fronte di una formazione che necessita invece di molto più tempo, è maggiormente accusato quando si tratta di unità dedite all’uso di armi ed equipaggiamenti, ad esempio per la guerra elettronica, che richiederebbero una seria competenza formativa e delle skill acquisite che non si possono trasmettere in pochi mesi, men che meno nei corsi di aggiornamento fatti magari a distanza di anni, con un gap teorico e pratico enorme. Il soldato tipo, dopo la leva, a meno di non sottoscrivere un contratto professionale, torna a casa con un foglio (anche questo un contratto che dovrebbe essere volontario ma di fatto è richiesta la firma) che lo identifica come un riservista meccanico e, negli anni, diventa magari un contabile. Ogni tanto si recherà a un corso di aggiornamento, spesso riuscirà a evitarlo. Ad oggi è improbabile che, non tutti ovviamente, ma una parte considerevole dei riservisti che andranno a combattere siano soldati ben addestrati e pronti. Questi riservisti si uniscono ad una mobilitazione in cui devono necessariamente convivere con soldati professionisti che si trascinano dietro tutto il peso di un esercito che continua a sopravvivere e in cui le priorità economiche e strategiche hanno diviso in maniera non equa rifornimenti di uomini, mezzi, armi, causando un ulteriore squilibrio: alcune brigate sono più qualificate di altre e di conseguenza gli ufficiali meglio formati dalle accademie finiranno qui, anche per questioni di carriera, a discapito delle brigate che necessitano più inquadramento. Nello specifico degli eventi in corso, forse si prova a invertire questo “malcostume” indicando come responsabili dei riservisti le autorità dei centri di addestramento, ma le difficoltà sono note a tutti: di fatto il problema di aver dirottato il sogno di un esercito potente verso la contrattualizzazione dello stesso, ha creato un backup di riservisti che valgono pochissimo. Perfino Kadyrov dalla Cecenia si lamenta e dice la sua: utilizzare il personale delle forze dell’ordine, almeno la metà degli operatori della Federazione Russa che sono atletici e già abituati all’uso di armi. Guardie carcerarie, poliziotti di quartiere, guardie di confine, ecc… Al momento si fa quel che si può. Sladkov, noto giornalista e analista militare russo, parla di campi di addestramento intensivo su modello dell’antiterrorismo dell’FSB. Ma i problemi, con una citazione in tema, escono dalle pareti: l’archiviazione dei registri militari si è rivelata fallimentare e si sono dovuti istituire dei centri di aiuto per i mobilitati che in realtà non dovevano esserlo. Uomini malati, esenti dal servizio, perfino deceduti: le cartoline sono arrivate alle persone sbagliate perché, come si lamentava il già citato Sladkov, una delle ultime riforme militari avrebbe assegnato all’amministrazione civile la gestione dei registri distrettuali. Come a dire che, altrimenti, non si spiega questo disservizio.

Per quanto riguarda la mobilitazione “parziale” dei riservisti, come detto ci sarà una ricaduta molto forte sulla società russa. Togliere dal mercato del lavoro cifre importanti (supponiamo che si arrivi davvero al milione di uomini) significa aumentare la pressione economica già impazzita per le sanzioni. Sono promessi benefici di vario tipo per i mobilitati, dalle risoluzioni prettamente amministrative (un mobilitato si può lasciare dietro mutui, prestiti attivi ecc… e infatti parte della mobilitazione di uomini riguarda anche un progetto parallelo di mobilitazione economica) alle promesse da campagna elettorale (chi parte ora avrà diritto al prepensionamento, notizia risalente a qualche ora fa, al momento in cui sto scrivendo). Le proteste popolari anticipano una parentesi di inasprimento della repressione del governo non più solo sulle fasce giovani, notoriamente le più abituate alla repressione attiva, ma anche sulla fascia di lavoratori più vecchi che fino ad oggi si è adeguato a riforme militari e decisioni politiche da cui sono stati blandamente colpiti. L’indifferenza alla questione ucraina fin dagli eventi precipitati nel 2014, parla di una società che per vari motivi ha scelto di considerarsi estranea alla politica aggressiva del Cremlino, ma ora si trova in una condizione di forzata partecipazione: all’opposizione o al sostegno alla guerra, con tutte le conseguenze del caso. In Russia c’è una corrente di pensiero che vuole questo momento di impopolarità di Putin come un segnale che il presidente ha ben definito il suo obiettivo ed è certo della vittoria. Mettere in gioco la propria popolarità, portarla a un livello così basso, destabilizzare chi fino a ieri lo supportava: è troppo sicuro di vincere o è solo troppo sicuro di se stesso?

Barzelletta russa:
Un ragazzo chiamato al voyenkomati si rivolge al commissario militare che ha il compito di registrare i coscritti per la leva e implora:
“Compagno colonnello, rimuovimi dall’esercito e ti darò cinquemila nonne!” (slang per banconote da 500 rubli).
“Sei sicuro? Va bene, vieni al cimitero oggi alle due del mattino con i soldi.”
All’ora stabilita, la recluta va al cimitero e vede questa scena: il commissario militare è seduto su una croce, tutto nudo, con in mano una chitarra e sta cantando.
Vede il coscritto, scende dalla croce, prende il denaro e dice:
“Domani alle 10:00 vieni al centro di smistamento, organizzo tutto io.”
Il giorno dopo il ragazzo arriva al centro di smistamento e gli viene detto:
“Sei assegnato alla flotta per 3 anni.”
Il coscritto quasi muore di infarto e si dispera:
“Ma come! Come è possibile?!” Si rivolge al commissario:
“Stanotte ti ho dato cinquemila nonne e mi ritrovo iscritto alla flotta, per tre anni!”
Il commissario indignato:
“Quando? Cosa dici! Calunnia!!”
“Ma se eri seduto nudo sulla croce, a gridare canzoni a tutto il cimitero!”, strilla il coscritto.
E il commissario:
“Compagni membri della commissione! Evidentemente questo ragazzo è matto! Non solo dalla flotta, deve essere rimosso proprio da tutto l’esercito!”

Risorse

https://vvo.ric.mil.ru/Nomera – Bollettino di Educazione Militare

Mark Galeotti, per restare aggiornati fra le altre cose su numeri e dettagli tecnici delle Forze Armate Russe.

D. R. Herspring, The Kremlin and the High Command: Presidential Impact on the Russia
Military from Gorbachev to Putin
, libro

Zoltan Barany, The Politics of Russia’s Elusive Defense Reform, Political Science Quarterly Vol. 121, No. 4 (Winter, 2006/2007), pp. 597-627 (31 pages), The Academy of Political Science

In Russie.Nei.Visions, pubblicazione in russo dell’IFRI, si trovano molti articoli che analizzano le Forze Armate Russe.